di Anna Roberti

 

Il Primo maggio scorso il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, dichiarava: "E' assurdo che si debba morire sul lavoro. Non limitiamoci alla denuncia, dobbiamo sentire il dovere istituzionale di reagire, di indignarsi, di gettare l'allarme, di sollecitare risposte. Dobbiamo volere condizioni di lavoro più umane, più civili, più rispettose dei bisogni e della dignità di tutti".

Ma l’anno 2007 finisce con una lista sempre più lunga di infortuni sul lavoro, e con gli operai della Thyssen Krupp di Torino morti bruciati vivi.

Le statistiche ufficiali parlano, per l’Italia, di circa un milione di feriti e più di mille morti all’anno, una media di tre morti al giorno. Da una ricerca pubblicata qualche tempo fa risulta che gli immigrati sono più a rischio di infortuni sul lavoro degli italiani: rappresentano poco più del 3% degli occupati, ma uno straniero su 10 incorre in un incidente di lavoro (proporzione più che doppia rispetto agli infortuni tra i lavoratori italiani). E si tratta di dati sottostimati: per l'incidenza del lavoro nero e l’irregolarità della manodopera tra gli immigrati, molti infortuni, soprattutto nelle piccole imprese e nel settore agricolo, non vengono denunciati. Gli immigrati sono di solito delegati a mansioni più pericolose, e non sono adeguatamente formati nel campo delle norme antinfortunistiche; i settori più a rischio per i lavoratori stranieri sono l'edilizia, l'industria dei metalli, le attività immobiliari, i trasporti, l'agricoltura e l'industria meccanica.

Abbiamo fatto una piccola indagine a Torino tra i lavoratori provenienti dalle ex repubbliche sovietiche.

Gennadij (operaio in piccola ditta dell’industria leggera, a forte rischio infortuni): "Da noi nessuna attrezzatura antinfortunistica, neanche le cose più elementari come le scarpe o i guanti. Quando le ho chieste mi hanno detto che non avevano tempo di occuparsene. E non abbiamo il posto riservato per il carico/scarico davanti alla fabbrica, rischiamo ogni volta di essere travolti dalle automobili. Ho domandato di andare a seguire un corso di formazione, non c’è tempo neanche per questo. Al posto di lavoro dove ero prima avevo insistito sulla sicurezza: quando è scaduto il contratto non me l’hanno rinnovato".

Georgij (operaio edile, lavora su appalto in grandi aziende): "Da noi è tutto regolare, sono molto severi. Ci fanno firmare che abbiamo ricevuto il vestiario e le attrezzature antinfortunistiche e che ci impegniamo ad usarle. Una volta hanno fatto un controllo: io non le adoperavo, così il 40% della multa l’ho dovuta pagare io, e ho imparato la lezione. Non voglio mica lavorare per pagarmi le multe!".

Boris (operaio in media impresa metallurgica): "Da noi è tutto regolare. L'unico problema è il livello troppo alto del rumore; abbiamo le cuffie ma con le cuffie si fa fatica a lavorare, così le togliamo. Quando lavoravo in Ucraina, il 90% degli incidenti erano provocati dal fatto che gli operai stessi non usavano le attrezzature antinfortunistiche. Poi tanti operai non chiedono quello di cui hanno diritto, per negligenza o per paura di ritorsioni".

Igor (operaio edile): "Abbiamo tutto ciò che serve, ma non lo usiamo perché ci impedisce di lavorare comodi, anche se sappiamo che è pericoloso. I titolari non insistono e non ci obbligano, così la colpa è di tutte e due le parti, metà per uno"

Konstantin (operaio edile): "Se usassimo sempre le attrezzature antinfortunistiche, non potremmo lavorare: impacciano, ci rallentano. Qualcuna non è neanche sicura, o logica. Siamo noi che dobbiamo stare attenti, e lo capiamo da soli cosa è pericoloso e cosa no. Tante volte poi succede che uno si fa male perché è ubriaco, o troppo stanco, o si è fatto di qualcosa. Poi ci sono i ragazzini, che non hanno esperienza, pensano che lavorare in cantiere sia un gioco, non fanno attenzione e si fanno male; anche perché a scuola non gli hanno insegnato niente. Ci vorrebbe un migliore addestramento, e più ispettori, ma competenti e preparati: ho visto ispettori dare multe senza capire quali erano le vere esigenze di quel cantiere. E poi dare solo la multa non serve: mentre la danno, dovrebbero spiegare perché quella situazione è pericolosa, fare un addestramento sul campo, così la loro visita ha un senso, serve a qualcosa".

Ne consegue che le leggi ci sono (vedi il vecchio ma sempre attuale DPR 547/55, la sua evoluzione del D.Lgs 626/94 e altre, ancora più specifiche a seconda dei diversi ambiti lavorativi), ma spesso non sono applicate, prima di tutto da chi ha il dovere di salvaguardare la salute a norma dell’articolo 2087 del Codice civile, e cioè il datore di lavoro.

Sono insufficienti i controlli per fare rispettare le norme, e spesso essi vengono eseguiti "burocraticamente", mirando solo alla repressione economica mediante sanzioni, e più raramente all'utilità pratica e antinfortunistica della sanzione imposta all'azienda (e, meno sovente, al lavoratore che non adempie alle istruzioni impartite).

Talora manca l'autocontrollo da parte dei lavoratori e spesso, in netto contrasto con la normativa vigente, essi non possono esercitare un controllo diretto delle proprie condizioni di lavoro e della sicurezza.

E’ necessario creare una maggiore "cultura della sicurezza" che coinvolga tutti, dal datore di lavoro al dipendente, investire maggiori risorse nei servizi degli ispettorati (ispettori del lavoro e ispettori anti-infortunistica delle ASL) e nei corsi di formazione e addestramento, così come previsto espressamente dal già citato D.Lgs 626/94. Corsi che, a dispetto di quanto talvolta accade, specialmente nelle realtà aziendali più piccole, dovrebbero essere effettivamente e seriamente svolti: ritenendoli non una costosa perdita di tempo, bensì un'attività compresa nel ciclo produttivo dell'azienda che, alla fine, consentendo di fatto un risparmio economico e di risorse umane, risulterebbe vantaggioso per tutti.

Infine ci pare particolarmente interessante la proposta avanzata da Tito Boeri su "La Stampa": sanzionare più severamente le aziende che non sono in regola con gli standard di sicurezza o ricorrono a subfornitori che violano questi standard.

Come? Espellendoli da Confindustria, ad esempio, come nel caso di chi paga il pizzo alla mafia.

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Direttore: Silvia Leva

Presidente Onorario: Anna Roberti

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